AGUIRRE, FURORE DI DIO (1972) Werner Herzog

"Se voglio che gli uccelli cadano fulminati, cadano stecchiti... Strapperemo Trinidad e Messico alla Spagna. Pezzo a pezzo costruiremo la storia come gli altri allestiscono uno spettacolo"
"Io, Furore di Dio, mi sposerò con mia figlia e fonderò la dinastia più pura del mondo... Regneremo su questo continente. Sono il Furore di Dio e Dio è con me"

Aguirre, furore di Dio, liberamente tratto da un presunto diario di Gaspar De Curvajal è la cronaca, almeno nel crudo filo della trama, di una delle tante spedizioni dei conquistadores nell'America Latina, verso la fine del 1560.
E' difficile descrivere a parole il fascino di questo Aguirre, furore di Dio; è un'opera di lirica eloquenza, fatta tutta di immagini (dice Herzog: "Tutti i miei film hanno come sottofondo non delle storie ma dei paesaggi") ma è anche un affilato pamphlet omnidirezionale, in bilico su trasparenza simbolica e ricerca storica, contro la disumanizzazione che consegue dalla sete di grandezza e di potere, dall'insinuarsi nell'individuo e nella società di uno squilibrio abbrutente del proprio ruolo e dei propri limiti, coi propri simili e con la natura.


In effetti con Aguirre Herzog prende di petto il dramma della cultura tedesca prebellica e con una sensibilizzazione allegorica alla tragedia dell'ultimo conflitto mondiale, ne vaglia le motivazioni di fondo, alludendo senza mezze misure, al delirio hitleriano, ma attaccando parallelamente la filosofia nietzscheana del superuomo ed il mito nibelungico caro agli spiriti nordici. In Aguirre il fallimento del super-io si ha proprio nello scontro diretto con la natura.


Herzog suffraga tutto ciò con il soffermarsi delle inquadrature sulla grandiosità ambientale e con uno scarso ma significativo uso del parlato; nel soliloquio finale del protagonista è accentrata la sua insana vanagloria ed il suo presunto destino di grandezza (quel Dio è con me riecheggia sfacciatamente il Gott mit Uns nazista), ma sono tante le frasi pronunciate che costituiscono con architettonica precisione la monumentale paranoia distruttiva della spedizione, la incalzante critica del film a certe istituzioni, ora fredda e mordace ("L'oro lo lascio ai servi, per me conta il potere"), ora convulsamente astiosa ("Per la maggior gloria del Signore la Chiesa è sempre dalla parte del più forte" ... "Prete, non dimenticare di pregare se no Dio te la farà pagare cara").

Si può ritrovare il raffronto tra il fiume-vita naturalistica e la zattera-civiltà, l'affascinato rispetto per l'estraneità del nuovo mondo (lontano non solo lo spazio di un oceano ma anche il salto di una cultura), il muto stupore per la famelica realtà storica delle imprese di conquista, il monito contro le crudeli gesta della civilizzazione (inumana verso gli indigeni 'da educare', ma shockante anche per i conquistadores, spinti in un mondo sconosciuto, a scontrarsi con un paese, con una realtà che non è la loro, ostile negli abitanti e nell'ambiente) e pure un accenno polemico, nella guerriglia della foresta, agli insistiti conflitti contemporanei (col Vietnam, allora - 1972 - in primo piano).

Amante dell'aperta dimensionalità degli spazi esotici ed extra-urbani (in Segni di vita l'ambientazione era l'isola di Creta, in Fata Morgana l'Africa ed il Sahara, in Anche i nani hanno iniziato da piccoli un'isola vulcanica-Lanzarote) Herzog sublima in Aguirre, furore di Dio la sua vena caustica e poetica e, proprio nell'incontro con un ambiente pulito e minaccioso insieme, sente il crescere di un afflato ottimista che positivizza anche nei contenuti questa sua opera.

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