L’ultimo romanzo di Pirandello, in gestazione già dal 1909,ma uscito, dapprima in rivista

Vitangelo Moscarda, chiamato dalla moglie Gengè, partendo dalla scoperta di avere il naso lievemente storto, si avventura in una serie di ricerche speculative che lo porteranno alla rovina. Ma si tratta davvero della rovina? La banalissima constatazione, riguardante l’altrettanto banale difetto fisico, gli provoca la consapevolezza di essere visto e giudicato dagli altri in modi molteplici e differenti, di essere visto in “centomila” prospettive diverse e inconciliabili. Progressivamente, egli è assillato dal bisogno di scoprire un’immagine obiettiva di sé.
Nel tentativo di uscire da questa situazione inizia a commettere azioni impreviste, capovolgendo le convinzioni che gli altri si sono fatti sul suo conto, scopre contraddittoriamente di saper essere crudele o generoso, disinteressato o egoista, fino a comunicare la propria “pazzia” a un’amica della moglie che durante un singolare amplesso lo ferisce con un colpo di pistola. Gengè è nei guai fino al collo, ma anche questa è una “finzione” della società alla quale si oppone. In effetti egli continua le sue ricerche in un ospizio, dove finirà a vivere il resto dei suoi giorni e nel quale scoprirà, amaramente appagato, che l’uomo è immerso in un continuo flusso durante il quale muore e rivive ogni istante; l’unica immagine possibile di sé consiste nelle cose, nella natura, nell’aria che riflettono e rendono eterna la parte veramente viva di ogni creatura.
Una volta giunto a essere ritenuto pazzo, Vitangelo si dichiara soddisfatto di questa conclusione che “non conclude”, accetta di rinascere «nuovo e senza ricordi: vivo e intero… in ogni cosa fuori», totalmente escluso dalla vita sociale e dalla visione comune degli uomini. L’alienazione di Moscarda consiste nella totale scomposizione dell’io, nell’impossibilità di calarsi in un qualunque tipo di ruolo, perché la realtà muta incessantemente e nulla può interromperne il flusso.
Si può tranquillamente affermare che in questo romanzo la filosofia pirandelliana trovi totale compimento e si dispieghi al massimo delle sue potenzialità. Il protagonista dell’ultimo romanzo del narratore siciliano assorbe in sé e supera tutti i personaggi presenti nei romanzi e nelle novelle dello scrittore. Non a caso il testo recupera materiali che erano andati via via accumulandosi nel corso degli anni sulla scrivania dello scrittore.
L’opera è considerata un riepilogo di tutta l’attività, narrativa e teatrale di Pirandello, qualcosa di compiuto nella forma e incompiuto nella sostanza. Il romanzo «più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita» (così afferma l’autore in una lettera autobiografica) mette in scena il personaggio più “smontato” e più carico di autoconsapevolezza del mondo pirandelliano, fortemente desideroso di tornare alla freschezza dell’impressione immediata.
Anche l’andamento stilistico appare involuto e franto, organizzato in un monologo ricco di interrogazioni ed esclamazioni, proprio per affermare l’impossibilità di una conoscenza organica e coerente della persona e del mondo stesso.
A cura della Redazione Virtuale di «ItaliaLibri»
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